Regole sostanziali e principi procedurali nell’arbitrato irrituale

Regole sostanziali e principi procedurali nell’arbitrato irrituale: una antinomia insopprimibile.

di Massimo Curti

Brevi cenni sull’attuale orientamento giurisprudenziale.

Nel presente elaborato provvederemo alla trattazione ed all’analisi in chiave critica della natura e delle differenze, o pretese tali, rispetto all’arbitrato disciplinato dal codice di rito di quel particolare istituto di creazione prettamente giurisprudenziale, che viene definito “arbitrato irrituale”[1].

Nel sistema italiano è sempre aperta, come dimostrano le pur sempre frequenti pronunce della Suprema Corte, la questione relativa alla natura dei due tipi di “arbitrato” ed ai criteri distintivi dell’arbitrato rituale da un lato, rispetto all’arbitrato irrituale dall’altro lato. Secondo l’attuale consolidato orientamento giurisprudenziale la differenza principale che caratterizza i due tipi di arbitrato[2] è data dal fatto che nell’arbitrato irrituale si affida agli arbitri il compito di definire in via negoziale e sostanziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici mediante composizione amichevole, conciliativa o transattiva; composizione che si concreterebbe o in un negozio di accertamento o in un contratto di transazione[3].

Secondo l’orientamento succitato, invece l’arbitrato rituale è caratterizzato dal fatto che, in tale istituto definito di natura prettamente processuale, agli arbitri viene affidato o deferito il compito di giudicare e decidere sulla controversia insorta[4].

La giurisprudenza ritiene quindi che la principale distinzione tra i due tipi di arbitrato risieda nel fatto che nell’arbitrato “rituale” le parti affidano all’arbitro una funzione sostitutiva di quella propria del giudice, mentre con l’arbitrato irrituale conferiscono all’arbitro il potere di risolvere la controversia sul piano sostanziale con una decisione riconducibile alla volontà dei mandanti.

L’orientamento predetto, che da decenni è oramai costante, della Suprema Corte può riassumersi nella seguente massima[5]: “Si ha arbitrato irrituale o libero quando la volontà delle parti è diretta a conferire all’arbitro (o agli arbitri) il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mediante una composizione amichevole, conciliante o transattiva, o mediante un negozio di mero accertamento, riconducibili alla volontà delle parti e da valere come contratti conclusi dalle stesse, poichè queste si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Si ha, invece, perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, non già la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva. La distinzione tra arbitrato irrituale e perizia contrattuale (come quella tra detti istituti e l’arbitrato rituale) va ricercata con riguardo al contenuto obiettivo del compromesso ed alla volontà delle parti. La relativa indagine, pertanto, trattandosi di quaestio facti e quaestio voluntatis, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto.”

Come si può riscontrare nell’arbitrato rituale viene quindi posto l’accento sulla funzione sostitutiva dell’attività giurisdizionale dell’arbitro, contrapponendo tale funzione sostitutiva alla funzione esercitata dal “mandatario – arbitro irrituale” il quale avrebbe invece la “diversa” funzione consistente nel definire con un atto di natura sostanziale, alla stregua di un contratto (transazione o negozio di accertamento) i vari motivi di contesa.

L’orientamento e l’impostazione data all’istituto dell’arbitrato irrituale così come delineato dalla giurisprudenza, non trova consensi unanimi in dottrina.

Le posizioni della dottrina.

La dottrina[6] è invece divisa sul

Antinomie e contraddizioni tra regole sostanziali e principi procedurali.

Da tale breve uxcursus si ricava che ancora oggi la questione relativa alla natura ed ai limiti dell’arbitrato irrituale, costituisce questione ancora aperta e quindi oggetto di discussione da parte della dottrina. Effettivamente non si può non concordare sul fatto che solo l’arbitrato rituale e cioè l’arbitrato disciplinato dal codice di rito possa garantire il rispetto dei fondamentali principi dell’ordinamento, quali il diritto al contraddittorio, il diritto alla difesa, etcc.. Risulta altrettanto evidente che, il necessario rispetto di tali fondamentali principi, non debba, di per sé determinare la assoluta inammisibilità di ogni altra scelta di definizione di una controversia, mediante clausole conciliative, ADR, e/o negozi di natura sostanziale. D’altronde non ci si può nascondere che l’arbitrato “irrituale” così come delineato dalla copiosa giurisprudenza della Suprema Corte, sul tema, costituisca un “unicum” del sistema italiano, e necessiti, anche in prospettiva europea, di una delimitazione univoca relativamente al contenuto, alle regole ed alla disciplina applicabili.

Il problema che si pone e ci si deve porre non è tanto o più quello della legittimazione o meno del cd. arbitrato irrituale, ma quello della delimitazione ed esatta circoscrizione dei suoi limiti e contenuti.

Ora, se per arbitrato irrituale intendiamo un sistema di risoluzione di una controversia affidato a privati, i quali esercitano una potestà del tutto simile alla potestà giurisdizionale, ma svincolato dalle necessarie garanzie che sono state approntate dall’ordinamento per l’arbitrato rituale, è evidente che tale sistema non sia meritevole di tutela e come tale non abbia diritto di ingresso nel nostro ordinamento. Che senso avrebbe, infatti, stabilire nel codice di rito delle regole procedurali ben delineate e delle norme di ordine pubblico e quindi inderogabili, per l’arbitrato inteso come coacervo di regole procedurali finalizzate alla risoluzione di una controversia, se può coesistere un identico, da un punto oggettivo, sistema di risoluzione della controversia, senza vincoli di alcun genere? Delle due l’una: o l’arbitrato e cioè qualsivoglia sistema di risoluzione delle controversie alternativa alla giurisdizione  è ritenuto dal ns. legislatore libero da vincoli di vario genere ed è affidato integralmente alla scelta dei “privati” o altrimenti le regole dettate nel sistema (e quindi le regole del codice di procedura) non possono che valere per ogni genere di arbitrato.

E’ la stessa giurisprudenza della Suprema Corte che, accortasi della questione, ha iniziato a ritenere comunque applicabili, anche all’arbitrato irrituale, i principi fondamentali dell’ordinamento, il principio del contraddittorio, l’art. 24 Cost., etcc.., proprio al fine di evitare che dietro lo schermo della pretesa “irritualità” si nascondesse una forma di arbitrato che nella sostanza doveva ritenersi del tutto identico ad una decisione giurisdizionale, ma che alla fine appariva come il “parente povero” dell’arbitrato rituale, in quanto privo di qualsivoglia garanzia processuale per le parti.

Ma anche quella giurisprudenza[7], che in tema di arbitrato irrituale, ha ritenuto, possibile estendere il principio del contraddittorio, anche all’arbitrato cd. irrituale, ha superato una questione, che ci pare costituisca una evidente antinomia ed una inconciliabile contraddizione: dato per certo che l’arbitrato irrituale abbia natura sostanziale, è possibile estendere il principio del contradditorio, il diritto di difesa ex art. 24 Cost. e gli altri principi di ordine processuale, con un istituto di diritto sostanziale?

La risposta è ovvia. Il principio del contraddittorio ha un senso se applicato ad una procedura ma ovviamente perde di significato se tale principio viene applicato ad un contratto o ad altro istituto di diritto sostanziale. Nessun contraente penserebbe mai di avvalersi, nelle trattavie, ad esempio, del principio del contraddittorio, dovendo avvalersi invece del principio della buona fede, etcc….

Pertanto se, come si ritiene con la prevalente giurisprudenza e dottrina, l’istituto definito arbitrato irrituale abbia natura sostanziale, risultano allo stesso non applicabili i fondamentali principi procedurali (anche di ordine pubblico) dettati per il diverso isituto (processuale) dell’arbitrato rituale.

Altra evidente contraddizione appare essere quella relativa alla cd. clausola compromissoria per arbitrato irrituale.

Mentre la clausola compromissoria per arbitrato rituale, deve, a pena di nullità, ex art. 808 C.p.c., essere stipulata per iscritto e determinare l’oggetto della controversia la clausola per arbitrato irrituale non solo non deve, secondo gli attuali orientamenti della Cassazione, essere stipulata per iscritto, ma addirittura non rientra nelle clausole cd. vessatorie nei contratti dei consumatori (ex art. 1469 bis C.C.), può essere semplicemente provata per iscritto mediante un documento stipulato da terzi[8], etcc…

E cioè, mentre la procedura rigorosa, dettata dal Codice di Procedura Civile, viene considerata dal legislatore “pericolosa” per il consumatore e viene quindi circondata da ulteriori cautele (forma scritta ad substantiam, presunzione di vessatorietà, etcc..), l’istituto dell’arbitrato irrituale, sulla mera scorta della sua natura “sostanziale” è considerato del tutto svincolato da ogni regola formale e procedurale, potendo i mandatari nominati in tal guisa, sulla scorta addirittura di un mero mandato verbale (e quindi svincolato da qualsivoglia controllo), decidere, nei fatti, una controversia senza limiti di valore, purchè si tratti di beni per i quali, in via sostanziale, non sia richiesta la forma scritta ad substantiam.

E’ quindi evidente che tale istituto debba essere oggetto di una rimeditazione, per quanto attiene  suoi limiti e la sua portata, che possa ricondurre lo stesso ad una “dimensione” efffettivamente correlata alla sua innegabile utilità, ma che sia effettivamente ridotta e limitata alla pretesa natura sostanziale, sulla quale si può concordare, dell’istituto.

Per una esatta ricostruzione dei necessari limiti che debbono porsi all’arbitrato irrituale.

La differenza che caratterizzerebbe l’arbitrato irrituale non può pertanto rinvenirsi nel fatto che agli arbitri “irrituali” sia stato conferito un mandato al fine di stipulare, un “negozio di accertamento” di natura sostanziale, in quanto l’attività svolta dagli arbitri in cui si concreterebbe tale negozio di accertamento corrisponderebbe ad una vera e propria attività giurisdizionale in senso stretto.

Ma è la stessa configurazione dell’oggetto dell’arbitrato irrituale, alla stregua di un negozio di accertamento che non pare convincere. Si deve infatti osservare che la causa di tale contratto atipico, è proprio quella di risolvere una situazione giuridicamente incerta e cioè accertare dei fatti e configurarli giuridicamente in modo da risolvere tra le parti un eventuale ed ipotetico “motivo del contendere”.

Ora se le parti direttamente stipulano un tale negozio, non può sussistere dubbio sul fatto che, per quanto da un punto di vista oggettivo, l’attività propria del configurare e sussumere dei fatti sotto l’egida di determinate norme sia null’altro che un “iuris dicere” e quindi una attività corrispondente all’attività giurisdizionale, in senso proprio, un tale negozio sia meritevole comunque di tutela, ed abbia diritto di ingresso e piena legittimità nel nostro ordinamento, come oramai da tempo ritenuto anche dalla Suprema Corte[9].

Diverso avviso bisogna affermare nell’ipotesi in cui tale attività venga affidata a dei mandatari, mediante un conferimento di un ampio mandato a decidere e definire, in vece delle parti, i motivi del contendere.

In tale ipotesi e tanto più quando un tale mandato viene caratterizzato dall’ampiezza e dalla indeterminatezza del loro contenuto[10] (come accade nella stragrande maggioranza delle clausole cd. compromissorie per arbitrato irrituale)  non si può non rilevare che la stipula mediante “arbitri” o mandatari di un negozio di accertamento (che nei fatti contiene una decisione in senso stretto sulla questione controversa), non costituisca null’altro che un modo, elegante, di eludere una serie di norme procedurali chiaramente dettate ad un fine pubblicistico.

Non si può infatti negare che esista una identità sostanziale evidente tra un negozio di accertamento stipulato mediante tre arbitri ed un lodo rituale, di equità, depositato da altrettanti arbitri mandatari.

Diverso naturalmente sarebbe se una parte conferisse un esplicito mandato ad un soggetto, quale proprio mandatario (che naturalmente si troverebbe non in posizione di neutralità, ma nella identica posizione di qualsivoglia mandatario “sostanziale”) di stipulare, unitamente ad altro soggetto mandatario della controparte, il predetto negozio di accertamento.

In tale ipotesi la dualità dei soggetti, la effettiva natura sostanziale del rapporto instauratosi tra parti e mandatari, non porrebbe alcun dubbio sulla effettiva differenza tra tale “modo” in senso ampio di risoluzione della controversia e l’arbitrato disciplinato dal codice.

Identico discorso varebbe per quanto attiene l’eventuale stipula di un negozio transattivo, anzichè del citato negozio di accertamento.

Il dubbio che si pone relativamente all’arbitrato irrituale, come si diceva, riguarda la evidente contraddittorietà che si riscontra nella configurazione giurisprudenziale attuale data all’istituto, e cioè: a)la richiesta e presupposta neutralità degli arbitri mandatari, nell’arbitrato irrituale rispetto alla controversia (per mantenere la natura sostanziale del rapporto è necessario che il mandatario non sia in posizione di neutralità, ma sia, anzi, proprio come è proprio del rapporto sostanziale in posizione di parziarietà, dovendo perseguire gli interessi del proprio mandante; anzi proprio la posizione di neutralità, propria del giudice o dell’arbitro in senso proprio, deve portare ad escludere la natura sostanziale del rapporto)[11]; b)il numero dispari degli arbitri mandatari (la natura sostanziale e la generica applicabilità delle norme in tema di mandato, non impongono un numero dispari di mandatari, ma anzi, se l’oggetto del mandato conferito è la stipula di un negozio sostanziale, che possa eliminare la controversia insorta (sia esso una transazione o un negozio di accertamento), che produca gli effetti direttamente nei confronti dei mandanti vincolando essi stessi al negozio, tipico è, nei negozi sostanziali, che ciascuna parte nomini un suo mandatario[12]); c)la trasfusione di regole processuali all’istituto dell’arbitrato irrituale, pur venendo lo stesso definito di “natura sostanziale”; d) l’esistenza di una clausola definita compromissoria, per indicare la devoluzione della controversia ai mandatari – arbitrti irrituali pur non potendosi definire, in senso tecnico, tale clausola come “compromissoria”.

Quello che pare ricavarsi quindi da tale breve excursus, è che esiste una evidente confusione tra i due istituti e soprattutto tra l’oggetto, contenuto e modalità di decisione dell’arbitrato rituale rispetto all’arbitrato cd. irrituale e quindi, in sintesi, relativamente all’interpretazione delle clausole stipulate tra le parti contendenti, e che sono sottoposte al vaglio dell’auorità giudiziaria[13].

La Suprema Corte ed anche molti giudici del merito, ritengono infatti di poter interpretare la clausola inserita nel contratto, quale clausola compromissoria per arbitrato rituale, qualora nella stessa vengano utilizzate dalle parti espressioni proprie del procedimento giurisdizionale quali il deferimento agli arbitri del compito di giudicare le controversie, e/o locuzioni quali controversie, giudizio[14].

Per quanto si legga, in alcune pronunce che non assume rilievo decisivo la mera circostanza che le parti abbiano qualificato gli arbitri come “amichevoli compositori” ovvero che la loro decisione debba essere resa inappellabile, perché anche nell’arbitrato irrituale è ammesso il giudizio di equità ed è prevista la possibilità di stabilire la non impugnabilità del lodo, come si desume dall’ultimo comma dell’art. 829 cpc[15] , rimane sempre affermato il principio che in caso di dubbio circa la qualificazione dell’arbitrato (rituale o irrituale) prescelto dalle parti il giudice dovrebbe optare per l’arbitrato irrituale[16].

Il problema quindi non riguarda tanto la scelta[17], nel dubbio, effettuata in favore dell’arbitrato irrituale, quanto l’errato utilizzo, da parte della giurisprudenza citata, degli indici rivelatori della sussistenza di uno o dell’altro tipo di istituto.

Se si da infatti per certo che sia la natura sostanziale del risultato finale o meglio dell’oggetto del mandato conferito ai mandatari – arbitri irrituali, rispetto all’arbitrato rituale, è sul piano ermeneutico che la giurisprudenza deve operare al fine di distinguere correttamente i due istituti.

E gli indici rivelatori di una scelta delle parti verso un mandato volto a definire in via sostanziale la res litigiosa, non possono che rinvenirsi nell’effettiva natura sostanziale dell’oggetto del mandato conferito, che deve essere vagliata dall’interprete con un evidentemente maggior rigore.

Entrando nel merito, non si può non rilevare, in estrema sintesi che, come sopra specificato, la caratterizzazione dell’istituto definito “arbitrato” irrituale, debba necessariamente rinvenirsi in una serie di differenziazioni “forti” e pregnanti, rispetto all’arbitrato di rito[18]. Contrariamente a quanto sino ad oggi ritenuto dalla giurisprudenza, deve ritenersi che indice rivelatore della natura sostanziale del rapporto sia che i mandatari[19], ai quali le parti si sono rivolte per risolvere la controversia mediante la stipula di un negozio di natura sostanziale, non siano in posizione di neutralità, ma siano,  come è proprio del rapporto sostanziale in posizione di parziarietà, dovendo, ciascuno perseguire gli interessi del proprio mandante.

Dovrà quindi ritenersi indice rivelatore di un rapporto processuale e quindi di una richiesta di arbitrato rituale delle parti (anche se eventualmente di equità, o non appellabile) la scelta di un numero dispari dei mandatari, la imposizione di un obbligo di neutralità rispetto alle parti stesse, l’applicazione di regole processuali proprie dell’arbitrato rituale, quale la previsione dello scambio di memorie, di termini per il deposito di documenti e simili.

Per quanto tale impostazione possa “far storcere il naso” a molta parte della dottrina, risulta evidente che, in difetto di imposizione di limiti certi a tale istituto, l’attuale configurazione dell’istituto dell’arbitrato irrituale ricavantesi dalle statuizioni della giurisprudenza, per quanto sia pregevole il tentativo di parte della giurisprudenza di estendere regole e principi propri del “cugino maggiore” arbitrato rituale, porta ed ha portato, nei fatti, a veder introdotto nel nostro ordinamento un istituto, nei fatti, del tutto identico all’arbitrato regolato dal codice di rito, ma svincolato da ogni regola e principio, e quindi, come definito da parte della dottrina, libero in tutti i sensi.

Non sfugga al lettore attento che, grazie proprio a tale attuale impostazione e configurazione dell’istituto, sono state poste nel nulla gran parte delle cautele imposte dalla Comunità Europea, ad esempio mediante la direttiva a tutela dei consumatori[20], i quali si trovano, ancora oggi, nell’impossibilità di agire in giudizio qualora, per ventura, in un contratto tipo sia stata inserita una clausola, che, secondo i canoni ermeneutici in oggi applicati, viene definita per “arbitrato irrituale”.

Orbene, data la natura contrattuale e sostanziale di una tale clausola, in linea di principio il consumatore si trova, nel sistema italiano così come delineato: a)vincolato ad una tale clausola, anche senza che la stessa possa dallo stesso essere stata sottoscritta (la natura sostanziale della clausola, come affermato dalla Cassazione, impone la forma necessaria per l’oggetto del contratto e quindi in ipotesi di beni mobili, non è necessaria alcuna forma scritta); b)impossibilitato, sempre data tale natura, ad agire in via ordinaria, ma, si badi bene nella sussistenza di motivi di urgenza, anche in via cautelare.

Il tutto sulla scorta di una mera interpretazione e prassi giudiziaria, che, anche alla luce delle innovazioni legislative pare debba essere oggetto di attenta rimeditazione.


[1]Con terminologia che per quanto non paia collimare con il suo contenuto, è oramai entrata nell’uso comune. Infatti la stessa attribuzione del termine “arbitrato” all’istituto del cd. “arbitrato irrituale” non pare corretta da un punto di vista semantico in quanto per arbitrato si intende, in senso proprio, una procedura specifica, alternativa alla giurisdizione ma che concreta essa stessa una attività identica all’attività giurisdizionale (iuris dicere). Se si analizza il contenuto di tale istituto si vede che in realtà l’arbitrato cd. irrituale è caratterizzato non dalla mancanza di un rito e/o di regole ma dalla sua natura prettamente sostanziale.

[2]La terminologia usata dalla giurisprudenza ritiene oramai che si tratti di un unico genus, quello dell’arbitrato in senso lato, differenziando terminologicamente le due “species” con i termini di rituale (o secondo il codice di rito) ed irrituale. In realtà non si può condividere tale impostazione terminologica, in quanto considerando “arbitrato” ogni metodo, in senso lato, come parrebbe da tale uso terminologico, di risoluzione delle controversie, dovrebbe allora parlarsi di arbitrato conciliativo, quando ad esempio le modalità di risoluzione delle controversie venga affidata ad un terzo in sede meramente conciliativa, e simili.

[3]In tal senso si vedano, fra le altre Cass. 4 luglio 1998 n. 6557 in Rep. Giur. Utet, Cd Rom 2000; Capp Milano 13 settembre 1996 in Foro pad. 1997, I, 59; Capp Milano 10 marzo 1995 in Foro Padano 1995, I, 23; Cass. 30 dicembre 1994 n. 11357 in Rep. Giur. Utet, Cd Rom 2000; Cass. 23 febbraio 1987 n. 1909 in Arch. Civ. 1987, 724.

[4]Si vedano tra le altre Cass. 3 maggio 2000 n. 5505 in Guida al Diritto 8.7.2000 n. 25; Trib. Milano 3 ottobre 1996 in Società 1997, 305; Capp. Milano 10 marzo 1995 in Foro Padano 1995, I, 23.

[5]Cfr. Cass. civ., sez. III, 21 maggio 1999, n. 4954 in Rep. Giur. Utet, Cd Rom, 2000.

[6]GALGANO F., Giudizio e contratto nella giurisprudenza sull’arbitrato irrituale. Contratto e Impr., 1997, 885; MORETTI C., L’autonomia della clausola compromissoria nell’arbitrato irrituale. Contratti, 1997, 530; RADAELLI L., L’arbitrato irrituale tra contratto e processo. Contratti, 1997, 408

 [7]Si veda sulla questione Cass. civ., sez. I, 5 marzo 1992, n. 2650 (in Riv. Arbitrato, 1993, 48, n. FAZZALARI; Giust. Civ., 1993, I, 2781, n. CIRULLI; Foro Padano, 1993, I, 20, n. RUBINO SANMARTANO) la quale ha affermato che “Anche nell’arbitrato irrituale vige il principio del contraddittorio, essenziale rispetto ad ogni emanazione di giudizio; perciò, deve assicurarsi alle parti la possibilità di conoscere le rispettive ragioni e difendersi; e, se la natura della controversia comporta l’assunzione di prove, le parti devono poter partecipare all’istruttoria e conoscerne i risultati (nella specie, tuttavia, la suprema corte ritiene che appartenga agli interna corporis del giudicante la raccolta del parere di un consulente giuridico, nonché di prezzi indicativi dell’ammontare del risarcimento).

Il Tribunale di Taranto (Cfr. Trib. Taranto, 24 gennaio 1997 in Gius, 1997, 882), proprio al fine di cercare di superare l’antinomia denunciata ha affermato che “La violazione del principio del contraddittorio nel corso di un arbitrato irrituale può assumere rilevanza, ai fini dell’impugnazione del lodo, qualora configuri un’ipotesi di errore che abbia inficiato la volontà contrattuale espressa dagli arbitri.

[8]Si pensi ad esempio allo stabilito di compravendita, nei contratti stipulati nella borsa merci. La Cassazione ha ritenuto valida la clausola compromissoria per arbitrato irrituale, mai sottoscritta dalle parti, ma contenuta in tale atto predisposto a stampa,e sottoscritto dal solo mediatore, e nel quale si dava contezza del fatto che le parti nelle trattive verbali intercorse avrebbero stipulato la clausola compromissoria. ATTENZIONE INSERIRE SENTENZA

[9]Inserire Giurisprudenza (ATTENZIONE).

[10]Si pensi ad esempio alla clausola societaria nella quale le parti stabiliscono che “Ogni controversia tra i soci verrà definita, mediante arbitrato irrituale, da tre arbitri, amichevoli compositori, nominati dalle parti, i quali decideranno, in via sostanziale…etc…..”.

[11]Nè varrebbe sostenere che è proprio dell’arbitrato e degli arbitri la neutralità rispetto alle parti, valendo tale regola, dettata dal Codice di Procedura Civile solo per l’arbitrato rituale e quindi per l’arbitrato “processuale” in senso proprio.

[12]Tale regola non scritta, che viene trasfusa tout court dall’arbitrato rituale al cd. arbitrato irrituale, pare una fictio iuris del tutto inutile. E’ ben vero che le parti nella loro ampia autonomia, potrebbero in linea di principio, ad esempio anche nella stipula di un negozio di compravendita, nominare un numero dispari di mandatari; ma è altrettano vero che un tale dispendio di energie non avrebbe alcun senso, se non si vertesse, in ipotesi, nella figura di un arbitraggio cos’ì come determinato dal Codice Civile(cfr. ad esempio cc. 1473).

[13]Secondo tale indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di interpretazione di clausola

compromissoria, il carattere rituale ovvero irrituale dell’arbitrato va desunto avendo riguardo alla

volontà della parti e in applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale (cfr. Cass. 23.6.1998 n.

6248 in Gazzetta Giur., 1998, fasc. 30, 48).

[14]Cfr. Cass. 3 maggio 2000 n. 5505 in Guida al Diritto 8.7.2000 n. 25; Trib. Milano 3 ottobre 1996 in

Società 1997, 305; Capp. Milano 10 marzo 1995 in Foro Padano 1995, I, 23.

[15]Cfr. Cass. 4 ottobre 1994 n. 8057 in Rep. Giur. Utet, Cd Rom, 2000; Cass. 14 aprile 1992 n. 4528 in Rep. Giur. Utet, Cd Rom, 2000.

[16] In tal senso si sono pronunciate  Cass. 25 gennaio 1980 n. 616; Cass. 11 maggio 1982 n. 2945 in Giur.it. 1983, I, 1, 69; Cass. 9 giugno 1983 n. 3956; Cass. 12 gennaio 1984 n. 268;  Trib Cagliari 15 febbraio 1986 in Riv. Giur. Sarda 1898, 384; Cass. 28 settembre 1988 n. 5260 in Giur.it. 1989, I, 1, 836; Cass. 20 marzo 1990 n. 2315 in Riv. Arbitrato, 1991, 517; Cass. 27 febbraio 1991 n. 2132; Cass. 18 novembre 1992 n. 12346 in Arch. Civ. 1993, 290; Cass. 24 luglio 1997 n. 6928 in Foro it. 1999, I, 304.

[17]Secondo il Fazzalari (Fazzalari In dubito, pro arbitrato rituale; in Riv. Arbitrato 1991, 517) trattasi di una scelta non congrua in quanto “anche l’arbitrato libero spoglia il giudice ordinario della cognizione: di più, anzi, lo priva anche della potestà cautelare che gli rimane attribuita in caso di arbitrato rituale. A più forte ragione, quindi, dovrebbe essere considerato eccezionale. Piuttosto, è proprio sul terreno della tutela, costituzionalmente dovuta, alla posizione del litigante che si colgono l’erroneità della soluzione in esame e la necessità di mettere capo a quella opposta; che, cioè, in caso di perdurante dubbio, si debba concludere a favore dell’arbitrato rituale. Gli è che l’arbitrato rituale assicura alla parti garanzie ignote a quello libero”.

[18]Anche perchè, occorre sottolinearlo il vincolo sostanziale determinato dalla scelta di definire i motivi del contendere tra le parti, mediante un mandato di natura sostanziale, determina l’impossibilità per le parti di promuovere, sino alla definizione del mandato conferito, qualsivoglia azione giudiziaria nanti l’A.g.o., e quindi anche l’impossiblità di richiedere l’emissione di provvedimenti cautelari e d’urgenza.

[19]Al proseguo provvederemo a definire tale figura semplicemente mandatario irrituale, al fine di distinguerlo dalla figura dell’arbitro, così come disciplinata dal Codice di procedura civile, propria dell’arbitrato rituale.

[20]Si veda la L 6 febbraio 1996 n. 53, in attuazione della direttiva 93/13/CEE.