Verso una tipicizzazione della cd. “clausola di conciliazione contrattuale”.

Cass. Civ. 27 gennaio 2001, n. 1191

Arbitrato – Rituale, Irrituale – Accertamento in sede di legittimita’ – Esame diretto della clausola – Ammissibilita’

Arbitrato –Previsione di una commissione di arbitrato –Clausola di conciliazione – Sussistenza

Qualora la controversia circa la natura rituale o irrituale dell’arbitrato sia sollevata con il ricorso per cassazione, la Corte deve procedere all’esame diretto del contenuto della clausola compromissoria, senza limitarsi al controllo della decisione del giudice di merito, incidendo la relativa qualificazione sul problema processuale dell’ammissibilità della impugnazione del lodo per nullità.

La clausola contenuta in un contratto che preveda che “per tutte le controversia resta incaricata una commisione di arbitrato che dovrà essere composta dal presidente del tribunale … o da un suo delegato, da un tecnico del comune e da un tecnico di parte; resta convenuto che per adire la magistratura ordinaria dovrà comunque essere esperito il tentativo dell’arbitrato, non configura un vero e proprio arbitrato, rituale o irrituale. La stessa, infatti, non può che essere interpretata nel senso che le parti abbiano previsto, una specie di tentativo di conciliazione,sulla base delle proposta formulata dalla commissione , prima di potersi rivolgere al giudice secondo le regole ordinarie.

 

Omissis…

P.Q.M

Omissis..

[REALE, Presidente, BONOMO Estensore, RUSSO P.M., Janton S.p.a. (Avv.ti Romeo, Perego e Zanfagna) c. Comune di Morcone (Avv.ti Lupone e Cocilovo]

Nota di Commento. Verso una tipicizzazione della cd. “clausola di conciliazione contrattuale”.

1.Il Caso.

Nel caso di specie viene in questione l’interpretazione di una clausola nella quale le parti avevano previsto che “per tutte le controversie resta incaricata una commissione di arbitrato che dovrà essere composta dal presidente del tribunale … o da un suo delegato, da un tecnico del comune e da un tecnico di parte; resta convenuto che per adire la magistratura ordinaria dovrà comunque essere esperito il tentativo dell’arbitrato relativo”.

La Suprema Corte, chiamata ad interpretare tale clausola, afferma non trattarsi di clausola compromissoria (sia essa per arbitrato rituale o irrituale), ma di una clausola di conciliazione sostanziale, e cioè una clausola nella quale le parti hanno previsto, come obbligatorio, l’esperimento, prima di poter adire l’A.g.o., di un tentativo di conciliazione.

Secondo la Cassazione, quindi, non vertendosi in tema di clausola compromissoria, il lodo emesso tra le parti dalla Commissione, risulta radicalmente nullo, non sussistendo alcuna postestas iudicandi degli arbitri così nominati.

II. Le questioni.

Il caso in questione, consente di sviluppare ed approfondire alcune riflessioni sulla cosiddetta clausola di conciliazione. La Cassazione a quanto consta, non ha avuto particolari occasioni di occuparsi di tale particolare istituto, risalendo l’ultima decisione sul tema, alla sentenza della Cassazione del 3 dicembre 1987, n. 8983.

In tale decisione la Suprema Corte affermò che la clausola, con la quale le parti avessero conferito ad uno o più soggetti l’incarico di esperire un tentativo di conciliazione, non implicava rinuncia alla tutela giurisdizionale, con la conseguenza che il mancato esperimento del suddetto tentativo non era di ostacolo alla proponibilità e procedibilità dell’azione giudiziaria, incidendo solamente sul diritto ad un eventuale risarcimento del danno, a carico della parte che non avesse rispettato tale preventiva obbligazione.

Nel caso di specie la Cassazione si è occupata invece dell’interpretazione della clausola e quindi di identificare quando e come, sulla scorta di alcuni particolari indici ermeneutici, possa ritenersi sussistere una clausola compromissoria per arbitrato irrituale o rituale e quando, invece, si debba ritenere trattarsi di altri strumenti alternativi alla giurisdizione ordinaria.

Il problema che affronta quindi la Suprema Corte è quello di chiarire quali siano i criteri di identificazione dell’una o dell’altra clausola.

Con la pronuncia che si annota, si cristallizza il contenuto della clausola di conciliazione, e si stabilisce che la sua caratteristica peculiare e principale è data dal fatto che le parti non rinunciano alla tutela giurisdizionale ordinaria, ma mantengono la possibilità di adire la magistratura all’esito, sia esso positivo (risoluzione della controversia) o negativo, della procedura alternativa.

La caratteristica peculiare della clausola, da un punto di vista ermeneutico, si rinviene quindi, secondo la Cassazione, nella “non vincolatività” dell’esito della procedura esperita, prevedendosi la costituzione di un organismo, magari a struttura anche complessa, per svolgere non una attività sostitutiva dell’attività giudiziaria vera e propria, ma per effettuare un mero tentativo di salvare un rapporto contrattuale, tramite una sperata conciliazione.

L’affermazione, certamente condivisibile, merita alcuni approfondimenti, in quanto involge un problema generale di interpretazione delle clausole liberamente concordate tra le parti.

Può ribadirsi, come già sostenuto in altra sede, che la caratteristica peculiare della clausola di conciliazione sia data dal fatto che le parti prevedono e si obbligano a consultarsi davanti ad uno o più soggetti, prima di intraprendere la fase contenziosa. Essi con tale clausola vogliono tentare una conciliazione tramite i buoni uffici di un soggetto in posizione di terzeità o meno, ma non intendono attribuire alcun mandato in ordine al diritto sostanziale controverso.

La differenza esistente quindi tra una clausola di conciliazione ed una clausola per arbitrato irrituale, non verte sulla natura contrattuale della pronuncia emessa dai o dal soggetto designato o designando dalle parti, ma si fonda sul fatto che nel caso di clausola per arbitrato irrituale le parti hanno inteso derogare all’autorità giudiziaria, affidando il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, mentre nel caso di clausola di conciliazione le parti hanno stabilito un temporaneo pacto de non petendo, e cioè, hanno reciprocamente convenuto l’obbligo, prima di adire l’autorità giudiziaria, di ritrovarsi nanti un soggetto predeterminato al fine di tentare una conciliazione.

La clausola di conciliazione esaurisce quindi la sua funzione all’atto di compimento del tentativo, in quanto una volta esperite le formalità previste nella clausola, in ipotesi di esito negativo, le parti sono libere di adire l’A.g.o nelle forme e con le modalità che riterranno più opportune.

Sulla scorta di tali riflessioni, la Cassazione ha ritenuto quindi di poter interpretare la volontà delle parti, affermando che si discute di arbitrato (sia esso rituale o irrituale) nella sola ipotesi in cui nella clausola sia previsto, anche se in diverse forme, una vincolatività (processuale o sostanziale) della decisione o statuizione emessa dagli arbitri o dai mandatari nominati.

Nell’ipotesi invece in cui manchi questa particolare caratteristica, e quindi, nell’ipotesi in cui sia prevista una non vincolatività della statuizione, la clausola pur perfettamente valida, deve essere interpretata come una clausola di conciliazione o come altra clausola, che si atteggerà diversamente a seconda del suo particolare contenuto.

La summa divisio operata dalla Cassazione pare fondarsi quindi sul binomio vincolatività o meno dell’attività in cui si concreta il mandato conferito, tramite la clausola, ai soggetti arbitri – mandatari, individuati dalle clausole. A seconda quindi di tale particolare caratteristica e atteggiarsi delle stesse clausole, ci si potrà pertanto trovare di fronte: a)ad un arbitrato rituale (nel qual caso si potrà parlare di vincolatività della clausola come effetto processuale); b)ad un arbitrato irrituale (la cui vincolatività trova fondamento nel atto sostanziale – contratto, stipulato dai mandatari in vece delle parti); c) ad una clausola conciliativa o simili, nell’ipotesi in cui l’attività finale dei soggetti nominati, non vincola in alcun modo le parti.

Al fine di evitare possibile confusione occorre rammentare che ciò che non è vincolante per le parti, nel caso di clausola conciliativa, non è la clausola, ma il risultato dell’attività dei soggetti, che può essere assimilato ad un consiglio, ad una proposta di transazione formulata nel comune interesse, e così via. La clausola di conciliazione è invece pienamente vincolante per le parti, come qualsiasi altra clausola contrattuale, per quanto attiene la necessità di sua attivazione e quindi in relazione alla necessità di “mettere in moto”, anche se con certo esito negativo (salva la reciproca e congiunta facoltà di rinunciare all’esperimento del tentativo di conciliazione), il meccanismo stabilito nella clausola stessa.

Tanto è vero che, secondo l’interpretazione da noi accolta, il meccanismo di natura sostanziale della clausola di conciliazione deve ritenersi assimilabile a quegli istituti di diritto sostanziale che prevedono una temporanea o condizionata impossibilità per le parti di agire in giudizio. Come già altrove ribadito, la conseguenza del mancato rispetto della clausola e di quanto ivi previsto è che, se una parte agisce nanti all’A.g.o. ugualmente, nonostante il mancato ottemperamento a quanto stabilito nella clausola, si determina non un generico obbligo di risarcimento del danno, ma il rigetto della domanda nel merito.

III. I precedenti.

L’unico precedente degno di nota, che ha compiutamente trattato ed affrontato la questione delle clausole di conciliazioni sostanziali, è la sentenza della Cass. civ., 3 dicembre 1987, n. 8983, in Mass., 1987. Tale decisione, ha affermato che: “La clausola, con la quale le parti conferiscano ad un terzo il solo incarico di esperire un tentativo di conciliazione, per le eventuali controversie che insorgano sull’interpretazione ed esecuzione di un determinato contratto, non implica rinuncia alla tutela giurisdizionale, come nel diverso caso del compromesso per arbitrato irrituale (in cui il terzo ha il compito di definire la contesa in via transattiva con effetto vincolante per i contraenti), con la conseguenza che il mancato esperimento del suddetto tentativo non è di ostacolo alla proponibilità e procedibilità dell’azione giudiziaria.” La giurisprudenza, nell’unico precedente qui riportato, si è quindi schierata per una non vincolatività delle clausole di conciliazione sostanziale, se non sotto il profilo del diritto della parte adempiente a vedersi riconoscere un generico risarcimento del danno.

Sul pactum de non petendo la giurisprudenza si è più volte pronunciata al fine di differenziare una tale obbligazione, in tema di titoli di credito, da altre figure affini, quali la remissione del debito, etcc.. Si vedano per una breve rassegna sull’argomento: Cass. civ., sez. I, 10 giugno 1994, n. 5646 in Giur. It., 1995, I,1, 222; Trib. Torino, 6 ottobre 1992 in Giur. It., 1994, I, 2, 255; Cass. civ., sez. I, 19 novembre 1992, n. 12383 in Dir. Fall., 1993, II, 1084, n. LEMBO.

IV. La dottrina.

La dottrina non ha manifestato, se non ultimamente, un forte interesse per le clausole di conciliazione sostanziali.

Sul tema si consenta di rimandare a M. CURTI, Profili processuali delle clausole di conciliazione, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2000; Idem, Obbligatorietà e pregiudizialità delle clausole di conciliazione, in Foro Pad., 1999, I, 235; BALSAMO P., Conciliazione e arbitrato: riflessioni critiche, in Rass. Forense, 1999, 543; BUONFRATE A. E LEOGRANDE A., La giustizia alternativa in Italia tra ADR e conciliazione. In Riv. Arbitrato, 1999, 375; BERTOZZI P. e SAMBUCINI G., Conciliazione e arbitrato. In Dir. e Pratica Lav., 1992, 751; PUNZI C., Conciliazione ed arbitrato in Riv. Dir. Proc., 1992, 1028.

Per una generale ricognizione in ordine alle A.D.R. ed alle altre figure di clausole alternative alla giurisdizione, si rimanda, senza pretesa di competezza ad ALPA G., La circolazione dei modelli di risoluzione stragiudiziale delle controversie in Giust. Civ., 1994, II, 111; Idem, L’arbitrato e la risoluzione stragiudiziale delle controversie, in L’arbitrato profili sostanziali, I, 87 e ss, Utet, 1999; MARINI A., Note in tema di autonomia della clausola compromissoria in Riv. Arbitrato, 1993, 409; ROVELLI L., La conciliazione, la transazione, il negozio di accertamento, in L’arbitrato profili sostanziali, I, 107 e ss, Utet, 1999; RUBINO SAMMARTANO, Il Diritto dell’Arbitrato Interno, Cedam, 1994, pagg. 4 e ss.

Massimo Curti